"Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?"
"Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?"

MORES IERI OGGI E DOMANI

MORES IERI OGGI E DOMANI

I valori trasmessi dalla commedia “Adelphoe” di Terenzio (di Diego Patitucci, 3BST)

L’Adelphoe, commedia di Publio Terenzio Afro scritta e rappresentata nel 160 a.C, è un’opera attraverso la quale emergono diversi temi riguardanti sia la letteratura, sia i costumi latini presenti a Roma. In questo blog osserveremo non solo le differenze tra i testi di Terenzio e la realtà, ma anche come alcuni modelli e tradizioni del tempo siano ancora in uso oggi.

La trama in breve: Demea e Micione sono due fratelli: il primo ha due figli, Eschino e Ctesifonte, che viene adottato dal secondo. Entrambi li educano, ma in modo diverso: Demea vuole che il suo abbia una mentalità all’antica, legata ai mores della società romana e Micione, invece, desidera avere un rapporto basato sulla fedeltà reciproca. Eschino rapisce Bacchide, una prostituta, della quale Ctesifonte si era invaghito. Dopo che il padre di quest’ultimo lo viene a sapere, decide di cambiare la propria mentalità ed insegnargli ad essere come Eschino. A causa di ciò, Micione è costretto a sposarsi, ma Ctesifonte acquista Bacchide ed Eschino sposa la sua amante, Panfila.

Il ruolo dell’educazione a Roma

Il tema principale dell’Adelphoe è quello dell’educazione e si possono notare molte analogie con ciò che avveniva realmente nella società latina. Inizialmente, i bambini  venivano istruiti proprio dai padri, che dovevano decidere le conoscenze da trasmettere in base alla loro occupazione o al loro posto nella società (per esempio, i figli degli aristocratici potevano imparare materie come legge o politica), oltre ad una serie di regole morali da seguire. Dopo le conquiste, oltre ai genitori, anche gli schiavi, in particolare quelli provenienti dalla Grecia,  iniziarono ad insegnare ai giovani romani: Terenzio stesso era uno schiavo, poi liberato grazie alle sue doti nella scrittura e nel teatro.

Statua raffigurante Cicerone, posta dinanzi alla Corte di Cassazione, a Roma.

Cicerone si impegnò particolarmente per diffondere la cultura e la filosofia ellenistica e integrarle nella società romana.

Anche le donne, a partire dall’età imperiale, potevano educare i figli, per poi affidare questo compito agli insegnanti, che potevano essere: il magister, il maestro principale, che insegnava ai ragazzi una professione, il mos maiorum e le altre materie in generale, il grammaticus, che si occupava dei testi greci e latini e della letteratura, e il rhetor, l’insegnante di filosofia e retorica. La scuola poteva poi essere privata, accessibile solamente a chi poteva permettersela, oppure pubblica: gli alunni, maschi e femmine, seguivano 6 ore di lezione con brevi pause tra di esse, per 8  mesi, a partire dai 6/7 anni, un modello quindi molto simile a quello dei nostri giorni, tranne per le punizioni attribuite agli studenti, che comprendevano l’utilizzo di bastoni o fruste di cuoio. Le lezioni inoltre si svolgevano in classe, attraverso l’utilizzo del trittico, un quaderno formato da tavole di legno ricoperte di cera e legate poi con anelli di vimini, oppure in biblioteca quando si aveva la necessità di consultare altri testi. In modo analogo ritroviamo alcuni di questi elementi anche nell’Adelphoe: entrambi i padri educano i figli secondo la propria concezione di ciò che è giusto insegnare loro, nonostante entrambi commettano degli errori. Infatti, secondo Terenzio, il giusto metodo di educare i figli è una via di mezzo tra quello di Micione, liberale e basato sulla fiducia, e l’altro di Demea, molto più severo e sistematico. Il vero scopo di questa commedia è dunque quello di cercare di trasmettere una morale, ovvero che sbagliare è un comportamento proprio dell’essere umano.  Questa, si può già trovare nel primo atto:

Homine inperito numquam quicquam iniustiust,

qui nisi quod ipse fecit nil rectum putat.

Non vi è di peggio che un ignorante che non riconosce nulla giusto se non quello che piace a lui.

(Adelphoe, Atto I, scena 2, 98-99)

Bassorilievo raffigurante una scena di guerra.

Nonostante vi fossero molte discipline, la maggior parte dei ragazzi veniva

educata nell’arte del combattimento, specialmente in età imperiale,

quando c’era una grande necessità di soldati per difendere i confini.

Bacchide e il suo ruolo nella società romana

Uno degli aspetti ricorrenti nelle commedie di Terenzio è il personaggio di Bacchide, la prostituta. In particolare, nell’Adelphoe possiamo vedere come Ctesifonte si innamori di questa figura, cosa che non sarebbe stata possibile al tempo. Infatti, coloro che praticavano la prostituzione, che potevano essere sia uomini che donne, venivano considerati infimi, esclusi dalla società e considerati talvolta quasi al livello degli schiavi (molti in realtà erano proprio servi o liberti) e inoltre venivano privati di molti dei diritti che la cittadinanza offriva ai romani. Nonostante ciò, la prostituzione a Roma era legale e riconosciuta come una vera e propria professione, svolta in modo privato, sotto la gestione dei propri genitori, oppure in bordelli e taverne (proprio come Bacchide nell’Adelphoe). Dal punto di vista morale, invece, le prostitute non venivano in alcun modo giudicate ed erano classificate in base ad un rango, da quello più alto, dove patrizi e magistrati andavano a letto con queste figure, a quelle di strada. In realtà, il vero scopo della legalizzazione di questo lavoro era quello di giovare all’economia delle città: infatti, prima di poterlo praticare, le prostitute dovevano recarsi prima dall’edile, magistrato responsabile della costruzione di infrastrutture, ma anche di registrare tutti i lavoratori romani, che rilasciava loro la licentia stupri e riportava i costi dei servizi che queste offrivano. D’altra parte, nelle opere di Terenzio questa figura viene completamente ribaltata, secondo l’ideale dell’humanitas, un concetto che indica tutte quelle caratteristiche e i valori propri dell’essere umano: Bacchide diventa quindi un personaggio con un grande valore morale, capace di amare oltre al suo semplice rapporto professionale, come si può vedere nell’Hecyra, per esempio.

Homo sum, humani nihil a me alienum puto.

 Sono un uomo, niente di umano ritengo a me estraneo.

(frase utilizzata da Terenzio nell’Heautontimorumenos per definire l’humanitas)

Bibliografia

roma.com/il-sistema-scolastico-dellantica-roma

www.vanillamagazine.it

wikipedia

www.romanoimpero.com

www.skuola.net

it.wikiquote.org